LA PREMIER BRITANNICA THERESA MAY HA ANNUNCIATO LA RIDUZIONE DELL’ALIQUOTA DELLA CORPORATION TAX DAL 20% AL 15%, RISPETTO AL 17% CHE ERA GIÀ PREVISTO ENTRO IL 2020. SI TRATTA DEL TERZO TAGLIO IN TEMPI RECENTI DOPO QUELLO EFFETTUATO, PRIMA, DA GORDON BROWN, CHE L’AVEVA PORTATA DAL 33% AL 28%, E, POI, DAL PRECEDENTE CANCELLIERE DELLO SCACCHIERE GEORGE OSBORNE CHE L’AVEVA RIDOTTA DI ULTERIORI 8 PUNTI PERCENTUALI FINO ALLA SUA FORMA ATTUALE.
Con questo annuncio, la Prima Ministra britannica auspica di attirare maggiori investimenti stranieri nel Regno Unito e di rassicurare gli investitori sullo status post–Brexit, sulla falsariga di quanto accaduto a seguito degli ultimi due tagli, quando, secondo fonti governative, il Regno Unito è riuscito ad attirare nel 2014 investimenti che, per la prima volta, hanno toccato il traguardo del trillione di sterline, creando al contempo 85.000 nuovi posti di lavoro.
L’aliquota al 17% (e tanto più ora al 15%), che renderebbe il Regno Unito il paese con la corporation tax più bassa del G20, permetterebbe altresí all’economia britannica di esercitare una forte concorrenza sulla vicina Irlanda che ha il tasso più basso del continente al 12.5%.
Ad ogni modo, il continuo abbassamento dell’aliquota della corporation tax potrebbe innescare una race to the bottom di difficile vincita da parte del Regno Unito, in quanto Stati più piccoli come l’Irlanda e Singapore (anch’esso con un’aliquota al 17%) godono di un maggior margine di manovra nel ridurre il carico impositivo.
Inoltre, un abbassamento così accentuato in un paese economicamente così importante potrebbe provocare forme di ritorsioni economiche da parte degli altri governi europei e del G7 (per esempio gli Stati Uniti, che hanno grandi aziende stabilite in Irlanda e nel Regno Unito, potrebbero cominciare a tassare i profitti fatturati nelle sedi estere).
In tale contesto, risulteranno essere cruciali nella risoluzione di questa questione i risultati delle negoziazioni della Brexit.
Pietro Michea