In data 21 giugno 2018 la Commissione Europea ha pubblicato un documento relativo all’impatto della Brexit sul riconoscimento delle qualifiche professionali.
Attualmente, ai sensi della Direttiva 2005/36/CE[1], i professionisti possono liberamente esercitare una professione regolamentata in uno Stato Membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche. La Direttiva prevede infatti, subordinatamente a condizioni formali, il riconoscimento delle qualifiche da parte dello Stato Membro ospitante, che permette al beneficiario di accedere alla stessa professione per la quale è qualificato nello Stato Membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato Membro ospitante. La Direttiva prevede tre sistemi per il riconoscimento delle qualifiche: (a) un regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione, per professionisti quali insegnanti, traduttori e agenti immobiliari[2]; (b) un riconoscimento dell’esperienza professionale, per professioni quali carpentiere, tappezziere ed estetista[3]; (c) un riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione, che prevede il riconoscimento automatico per i titoli, tra l’altro, di medico, infermiere, dentista, veterinario, farmacista e architetto[4].
Secondo la Commissione Europea, la Brexit non avrà conseguenze sulle decisioni di riconoscimento adottate dalle Autorità degli Stati Membri ai sensi della Direttiva 2005/36/CE prima di marzo 2019. A partire dalla data di uscita, tale Direttiva non sarà però più applicabile al Regno Unito e, pertanto, il riconoscimento delle qualifiche professionali dei cittadini britannici in uno dei restanti Stati Membri sarà disciplinato dalle norme nazionali dello Stato Membro interessato, indipendentemente dal fatto che la qualifica di cui viene chiesto il riconoscimento sia stata ottenuta nel Regno Unito, in uno Stato Membro o in uno Stato terzo. Per quando riguarda invece i cittadini europei, le qualifiche professionali ottenute nel Regno Unito a partire dalla data di uscita saranno considerate come qualifiche di Stati terzi ai sensi della normativa dell’Unione e, di conseguenza, il riconoscimento di tali qualifiche non sarà governato dalla Direttiva 2005/36/CE, bensì dalle norme nazionali di ciascuno Stato Membro[5]. In ogni caso, la Commissione ha invitato i cittadini europei che possiedono una qualifica professionale britannica ottenuta prima della data di uscita, a consultare le Autorità nazionali competenti al fine di determinare se sia necessario o meno ottenere, prima di marzo 2019, il riconoscimento della qualifica.
Con riferimento specifico alla professione di avvocato, invece della Direttiva 2005/36/CE si applicano la Direttiva 77/249/CEE, che mira a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati[6], e la Direttiva 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato Membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica[7]. Ai sensi di tali Direttive, gli avvocati hanno il diritto di esercitare, sia a titolo di prestazione di servizi, sia stabilmente, la loro attività in tutti gli Stati Membri con il titolo professionale di origine. Per l’esercizio in maniera stabile delle attività di avvocato è inoltre necessario iscriversi presso l’Autorità competente dello Stato Membro in cui l’avvocato decide di esercitare. Dopo tre anni di regolare esercizio nel Paese ospitante, gli avvocati possono fare domanda per ottenere la qualifica professionale dello Stato in cui sono stabiliti. La Brexit avrà conseguenze significative per l’accesso al mercato europeo dei servizi legali da parte degli avvocati britannici, e viceversa, in quanto le suddette Direttive non saranno più applicabili allo Stato uscente a partire da marzo 2019. Come osservato da un Brexit Paper in materia pubblicato nel giugno 2017 dalla Law Society del Regno Unito, è auspicabile un accordo tra Londra e Bruxelles per tutelare i diritti transfrontalieri degli avvocati. Tali diritti includono, oltre la possibilità di stabilirsi in maniera permanente e di fornire assistenza legale a titolo temporaneo ai clienti in un qualunque Stato Membro, anche il diritto di rappresentare i clienti di fronte ai tribunali nazionali di uno Stato Membro diverso da quello in cui è stato ottenuto il titolo, nonché di fronte alla Commissione Europea, in particolare per quanto riguarda i procedimenti in materia di diritto della concorrenza, all’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà intellettuale (EU Intellectual Property Office, EUIPO) e alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Law Society britannica ha sottolineato l’importanza di mantenere tali diritti soprattutto per quanto riguarda il libero esercizio della professione legale con riferimento al diritto europeo. Dopo Bruxelles, Londra ha infatti una delle maggiori concentrazioni di avvocati con esperienza sulle questioni di diritto europeo, in particolare, in materia di concentrazioni, di controversie relative alle azioni di risarcimento dei danni derivanti da violazioni del diritto della concorrenza, e di contenzioso della proprietà intellettuale.
Se da un lato, il Governo di Theresa May sembrerebbe pronto ad una soft Brexit, l’eventualità di una hard Brexit avrebbe un impatto significativo per il settore legale britannico ed europeo. Con specifico riferimento al mercato britannico, inoltre, la Law Society ha evidenziato come, in caso di hard Brexit e di conseguente applicazione delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organisation, WTO), le imprese che operano a livello transfrontaliero siano destinate ad utilizzare sempre meno gli avvocati britannici per la stipulazione di accordi tra imprese britanniche ed europee, o per i contenziosi che ne potrebbero derivare. Anche per la prestazione della consulenza legale, le imprese britanniche che intendono continuare ad operare nell’Unione Europea dovranno rivolgersi ad avvocati europei, così come per essere rappresentante nei procedimenti di fronte alla Commissione Europea o alla Corte di Giustizia.
Davide Scavuzzo
[1]Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. GUUE L 255 del 30.09.2005.[2]Si vedano gli articoli 10 e seguenti della Direttiva 2005/36/CE.
[3]Si vedano gli articoli 16 e seguenti della Direttiva 2005/36/CE.
[4]Si vedano gli articoli 21 e seguenti della Direttiva 2005/36/CE.
[5]Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della Direttiva 2005/36/CE, “… [o]gni Stato membro può consentire, secondo norme sue proprie, ai cittadini degli Stati membri titolari di qualifiche professionali non acquisite in uno Stato membro, l’esercizio di una professione regolamentata sul proprio territorio ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a). Per le professioni che rientrano nel titolo III, capo III, questo primo riconoscimento deve avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione elencate in tale capo…”.
[6]Direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati. GUUE L 78 del 26.03.1977.
[7]Direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica. GUUE L 77 del 14.03.1998.