Il 14 novembre 2018, il Regno Unito e l’Unione Europea hanno raggiunto un’intesa sul testo dell’Accordo di uscita, che regola i termini del recesso del Regno Unito dall’Unione.
L’Accordo include impegni sui diritti dei cittadini dopo la Brexit, un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020 e ulteriori dettagli sul cosiddetto divorce bill di circa 39 miliardi di sterline[1].
Il futuro del confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda è stato l’ultimo problema da risolvere al fine di garantire che non verranno reintrodotte barriere fisiche una volta che il Regno Unito avrà lasciato l’Unione. A riguardo, entrambe le parti hanno ribadito l’intenzione di concludere un accordo commerciale entro la fine del periodo transitorio. Se questo non viene raggiunto, l’Unione e il Regno Unito potrebbero estendere congiuntamente il periodo di transizione. In alternativa, a partire da gennaio 2021, si applicherebbe la cosiddetta soluzione di backstop, soggetta a un meccanismo di revisione congiunta. Ciò implicherebbe l’istituzione di un unico territorio doganale tra Regno Unito ed Unione, che si applicherà dalla fine del periodo di transizione fino al momento in cui un accordo successivo diventerà applicabile[2].
Il Governo britannico ha approvato il testo del documento a seguito di una riunione speciale convocata dalla Premier britannica Theresa May, nonostante varie riserve sollevate da alcuni membri del Governo, che ritenevano necessario rifiutare la bozza di Accordo, accusando Theresa May di far aderire in maniera in realtà permanente il Regno Unito all’Unione doganale. Secondo l’ex Ministro degli esteri, Boris Johnson, “… given the shambolic nature of the negotiations, this is unlikely to be the good deal for the country…”, sottolineando che “… We are going to stay in the customs union in this deal. We are going to stay, effectively, in large parts of the single market. That means it’s vassal state stuff…”. Era stato osservato infatti che l’adesione del Regno Unito all’Unione doganale non consentirebbe allo Stato uscente di negoziare liberamente e concludere accordi commerciali con Stati terzi, in quanto dovrebbe allineare la sua tariffa esterna a quella dell’Unione, rinunciando così ad abbassare o rimuovere i dazi unilateralmente. Il Regno Unito potrebbe negoziare accordi commerciali con Paesi come gli Stati Uniti e la Cina nei settori non vincolati dall’appartenenza all’Unione doganale, quali i servizi, gli appalti, i diritti di proprietà intellettuale, il trasferimento di dati e gli investimenti.
La Premier Theresa May aveva invece ribadito che il Regno Unito non sarà permanentemente legato all’Unione doganale, e che la clausola di backstop contenuta nell’Accordo prevede appunto un meccanismo di revisione che consentirà allo Stato uscente di non farne più parte. Inoltre, ha sostenuto che tale clausola non costituirà la base per il futuro accordo commerciale che per entrambe le parti è ancora da negoziare.
Tuttavia, non tutti i membri del Governo sono soddisfatti dell’Accordo. Shailesh Vara, Sottosegretario al dicastero dell’Irlanda del Nord, è stato il primo membro del Governo di Theresa May a dimettersi, protestando contro il testo dell’Accordo. Anche ilMinistro per la Brexit Dominic Raab ha presentato le proprie dimissioni, dichiarando di non poter sostenere l’Accordo in quanto il regime proposto per la questione irlandese “… presents a very real threat to the integrity of the United Kingdom…”, aggiungendo che la soluzione di backstop consentirebbe all’Unione di “… holding a veto over our ability to exit…”.
L’Unione Europea e il Regno Unito hanno altresì pubblicato una bozza di Dichiarazione politica che registra i progressi compiuti nel raggiungere una comprensione generale sul quadro delle future relazioni, descrivendo la struttura concordata, la portata e gli obiettivi della futura cooperazione tra le parti. La Dichiarazione politica deve tuttavia essere ulteriormente sviluppata e concordata nella sua forma definitiva.
Il testo dell’Accordo deve essere approvato anche dall’Unione a 27. Il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha convocato un vertice dei 27 capi di Stato e di Governo per il 25 novembre. Il Consiglio Europeo (Articolo 50) dovrà decidere se approvare o meno l’Accordo di uscita e la Dichiarazione politica congiunta sul quadro delle relazioni future.
Una volta che l’Accordo di uscita verrà approvato dal Consiglio Europeo (Articolo 50), e prima che possa entrare in vigore, dovrà essere ratificato dall’Unione e dal Regno Unito. Per l’Unione, il Consiglio dell’Unione Europea deve autorizzare la firma dell’Accordo, prima di inviarlo al Parlamento Europeo per suo consenso. Il Regno Unito dovrà ratificare l’Accordo secondo le proprie disposizioni costituzionali.
Parallelamente, la Commissione Europea continuerà il suo lavoro preparatorio per far fronte ad ogni eventualità. Il 13 novembre, infatti, la Commissione ha pubblicato una Comunicazione che illustra le misure di emergenza che potrebbero essere adottate qualora l’Accordo non venga approvato in via definitiva. La Commissione ha identificato dei settori prioritari in cui tali misure potrebbero essere necessarie, dato l’impatto significativo che un no-deal scenario avrebbe per i cittadini e le imprese. Detti settori includono i servizi finanziari, la residenza e le questioni relative ai visti, il trasporto aereo, il settore sanitario e fitosanitario, il trasferimento dei dati personali e la politica climatica. Le eventuali misure di emergenza saranno di natura temporanea e di portata limitata.
Sara Capruzzi