SI APRE UNA FASE DI INCERTEZZA ANCHE PER LE COMPAGNIE MARITTIME: SE ED ENTRO QUALI LIMITI POTRANNO CONTINUARE A PRESTARE I PROPRI SERVIZI PER E DAI PORTI EUROPEI E AD ISCRIVERE LE PROPRIE NAVI NEL REGISTRO BRITANNICO?
Le future relazioni tra il Regno Unito e l’Unione europea nel settore marittimo verranno definite negli accordi di uscita che dovrebbero essere negoziati entro due anni dall’attivazione, da parte del Governo britannico, della clausola di recesso di cui all’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea.
Nel frattempo la decisione del popolo britannico di lasciare l’UE ha aperto una fase di incertezza anche per le compagnie marittime, in quanto quelle britanniche non possono essere sicure se, ed entro quali limiti, potranno continuare in futuro a prestare i propri servizi per e dai porti europei, cosí come le compagnie europee se avranno ancora la possibilità di iscrivere le proprie navi nel registro britannico.
In aggiunta rilevano due aspetti. Prima di tutto occorrerà comprendere se la legislazione UE in materia di trasporti marittimi, in particolar modo quella in materia ambientale e di tutela della sicurezza e della salute, continuerà ad essere applicata alle compagnie marittime britanniche.
Infine, sarà da verificare se la Brexit produrrà effetti anche sulla tassazione delle attività marittime.
LE NAVI EUROPEE POTRANNO ESSERE ISCRITTE NEL REGISTRO BRITANNICO?
Attualmente, una nave di proprietà di un armatore stabilito in uno degli Stati membri dello Spazio Economico Europeo (SEE) può essere iscritta nel registro britannico.
La registrazione comporta una serie di benefici, in quanto la bandiera britannica è una delle più performanti riportate nelle “white lists” di due accordi internazionali con cui sono stati istituiti sistemi armonizzati di controllo portuale:
(1) il Paris Memorandum of Understanding on Port State Control (Paris MoU);
(2) il Memorandum of Understanding on Port State Control in the Asia–Pacific Region (Tokyo MoU).
La cooperazione tra gli Stati aderenti e l’armonizzazione delle attività di controllo, realizzate da tali accordi, consente di escludere le navi che operano al di sotto di determinati standard, in modo da promuovere la sicurezza marittima, proteggere l’ambiente e salvaguardare le condizioni di sicurezza e di lavoro a bordo.
Inoltre la bandiera britannica è inclusa nell’US Coastguard’s Qualship 21 initiative (Qualship 21), che identifica ed elenca gli Stati le cui navi sono considerate sicure e di alta qualità e, quindi, meno soggette ai controlli effettuati dalle autorità portuali statunitensi.
Poiché la bandiera britannica rispetta i criteri di basso rischio stabiliti dal Paris MoU, dal Tokyo MoU e da Qualship 21, le navi britanniche sono raramente soggette a controlli dalle autorità portuali di altri Stati.
Infine, le navi britanniche beneficiano degli incentivi derivanti dal sistema della tassa sul tonnellaggio (Tonnage tax) britannica. La tassa sul tonnellaggio è una forma opzionale di tassazione, che consente alle imprese marittime di determinare la base imponibile ai fini dell’imposta sulle società o dell’imposta sul reddito in relazione alla stazza netta della flotta impiegata e non al risultato di esercizio dell’impresa.
La possibilità che anche in futuro le società marittime del SEE possano iscrivere le proprie navi nel registro britannico dipenderà dai termini degli accordi di uscita. Se, per esempio, il Regno Unito, a seguito della Brexit, dovesse decidere di diventare Stato membro del SEE, e questa soluzione fosse accettata dall’UE, non vi sarebbero dubbi sul fatto che tale opportunità continuerebbe a sussistere.
E L’OPERATIVITÀ ESTERNA DELLE SOCIETÀ MARITTIME BRITANNICHE?
Fino all’attivazione della clausola di recesso, l’adesione del Regno Unito all’UE consente alle società marittime britanniche di avere accesso al mercato unico europeo, in cui né dazi né tasse di effetto equivalente vengono pagate sulle merci movimentate all’interno dello spazio doganale comune.
Inoltre, tali società traggono benefici dalla legislazione UE in materia di trasporti marittimi che promuove lo sviluppo del mercato unico europeo, come per esempio il Regolamento (CEE) 3577/92, che ha liberalizzato il settore dei servizi di trasporto marittimo fra gli Stati membri (cabotaggio europeo).
Anche per questi aspetti, il futuro grado di accesso delle imprese marittime britanniche al mercato unico dipenderà dalle modalità di uscita. La Brexit non dovrebbe limitare il diritto delle società britanniche di trasportare merci e passeggeri da e verso l’UE, qualora il Regno Unito dovesse avere in qualche modo accesso al mercato unico, per esempio, ancora una volta diventando membro del SEE.
Inoltre, la Brexit non dovrebbe in alcun modo influenzare le relazioni del Regno Unito con gli Stati Terzi.
LA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI TRASPORTI MARITTIMI APPLICABILE AL REGNO UNITO
È probabile che un certo numero di direttive già recepite dal Regno Unito nella propria legislazione subiscano un processo di revisione e ripensamento nello scenario post–Brexit, mentre i regolamenti (che sono direttamente applicabili negli Stati membri senza bisogno di misure di implementazione da parte dei Governi nazionali) non dovrebbero produrre più effetti, sempreché non sia diversamente stabilito negli accordi di uscita, oppure vengano volontariamente recepiti, cioé “nazionalizzati” nel Regno Unito.
a) La legislazione in materia ambientale e di tutela della sicurezza e della salute
Nonostante l’uscita dall’UE, il Regno Unito sarà tenuto a continuare a rispettare le principali norme in materia di sicurezza ed ambiente stabilite a livello internazionale, principalmente da due Convenzioni:
- la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS – International Convention for the Safety of Life at Sea);
- la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (MARPOL – International Convention for the Prevention of Pollution from Ships).
Anche il legislatore europeo ha legiferato in tali aree. Ne segue che se, per esempio, il Regno Unito dovesse accedere al SEE, l’allegato XIII dello stesso (che prevede quale legislazione dell’UE relativa ai trasporti marittimi sia applicabile anche agli Stati membri del SEE) si applicherebbe alle società marittime britanniche.
Ad ogni modo, tali società sarebbero comunque chiamate a rispettare la legislazione UE qualora trasportino prodotti e merci all’interno dei confini europei, oppure qualora necessitino di attraccare presso i porti degli Stati membri dell’UE per prestare i propri servizi.
b) La legislazione in materia di scambio di emissioni
A livello europeo, il sistema di scambio di quote di emissione (UE ETS) è una pietra angolare della lotta contro i cambiamenti climatici. Tale sistema, che è stato avviato nel 2005, persegue l’obiettivo di ridurre, in maniera efficiente e con costi contenuti, il volume di gas a effetto serra emesso da industrie ad alta intensità energetica, produttori di energia e compagnie aeree. Le quote di emissione sono limitate a un tetto massimo stabilito dall’UE, che viene costantemente ridotto nel corso del tempo così da diminuire gradualmente la quantità di emissioni, e le imprese ricevono o acquistano quote individuali.
Considerato che il sistema UE ETS di per sé non si applica al settore dei trasporti marittimi e che gli Stati membri non hanno raggiunto a livello internazionale accordi affinché le società marittime partecipino all’obiettivo di ridurre le emissioni, il legislatore europeo ha recentemente introdotto il Regolamento (UE) 2015/757 relativo alle emissioni di CO2 generate dal trasporto marittimo. Tale Regolamento pone l’obbligo in capo agli armatori di tutte le navi con un tonnellaggio superiore alle 5 000 tonnellate lorde che utilizzano i porti dell’UE di monitorare, comunicare e verificare le emissioni di CO2 prodotte.
È probabile che, a seguito della Brexit, le società marittime britanniche si troveranno comunque a sottostare alle disposizioni di tale regolamento se vorranno continuare ad avere accesso ai porti europei, indipendentemente dal fatto che tali norme siano adottate anche a livello internazionale, dall’Organizzazione Marittima Internazionale.
c) La legislazione in materia di riciclaggio delle navi
L’attività di riciclaggio delle navi dismesse è attualmente disciplinata dal Regolamento (UE) 1257/2013, che riprende numerosi elementi della Convenzione di Hong Kong sul riciclaggio sicuro ed ecologicamente corretto delle navi (Hong Kong Convention for the Safe and Environmentally Sound Recycling of Ships).
Non essendo più legato ai limiti imposti dal regolamento europeo, il Regno Unito post–Brexit potrebbe essere in grado di spingere verso una maggiore concorrenzialità di questo settore. Ad esempio, il metallo proveniente da un certo numero di piattaforme off–shore dismesse nel mare del Nord potrebbe essere riciclato con minori costi, senza più conformarsi ai rigidi standard stabiliti dal Regolamento.
d) La legislazione in materia di occupazione ed immigrazione
Gli effetti della Brexit sulla legislazione relativa all’occupazione sono tra i meno chiari. Un’ipotesi consiste nella possibilità che il Governo britannico cerchi di deregolamentare questo settore al fine di rendere il Regno Unito più competitivo. Tuttavia, le norme relative al lavoro a bordo delle navi provengono dalla Convenzione internazionale sul lavoro marittimo (ILO Maritime Labour Convention), che il Governo britannico ha ratificato nel 2013.
Il principale obiettivo di questa Convenzione è di fissare standard globali minimi e dignitosi per le condizioni di vita e di lavoro degli equipaggi e di contribuire alla creazione di una concorrenza leale anche in questi riguardi nel settore dei trasporti marittimi. Al fine di rispettare la Convenzione, la normativa britannica si è allineata a tali standard e sembra improbabile che il Regno Unito intenderà in futuro deviare dai relativi obblighi.
Tuttavia, vi potrebbe essere un indebolimento di alcuni diritti, come le disposizioni relative al calcolo dello stipendio nei periodi di ferie, che potrebbero essere rese meno stringenti permettendo ai datori di lavoro di decidere in maniera autonoma sul livello di retribuzione adeguato, oppure ai lavoratori di posticipare le ferie pagate in caso di assenze per malattie prolungate, senza perderle.
In tale contesto, secondo il sindacato Nautilus International (associazione che rappresenta i professionisti marittimi nel Regno Unito, Paesi Bassi e Svizzera), l’uscita del Regno Unito dall’UE potrebbe minare gli interessi delle professioni marittime.
Considerato che, a seguito dell’uscita dall’UE, le direttive europee già recepite nell’ordinamento nazionale, incluse quelle contro la discriminazione in base alla razza o alla nazionalità, potrebbero essere modificate, gli armatori stabiliti nel Regno Unito potrebbero non dover più sottostare a determinate restrizioni nell’impiegare manodopera da Paesi europei ed extra europei a basso costo, mettendo così in pericolo i posti di lavoro britannici.
Il sindacato ha aggiunto che storicamente il Governo britannico non ha mai limitato l’occupazione nel settore dei trasporti, e non ritiene che ciò accadrà a seguito della Brexit.
Maggiori cambiamenti potrebbero verificarsi in materia di immigrazione. Infatti è improbabile che le norme britanniche sull’immigrazione e il cosiddetto Points–based immigration system (PBS) rimangano nella loro forma attuale. PBS è il sistema a punti, suddiviso in cinque livelli (Tiers), che regola l’immigrazione nel Regno Unito di soggetti provenienti dal di fuori dei confini del SEE.
Dei cinque livelli di cui è composto il PBS, il Tier 2 – che è stato quello maggiormene utilizzato nel corso degli anni – inquadra i soggetti qualificati che intendono trovare lavoro nel Regno Unito, mentre i Tiers 1, 4 e 5 consentono l’ingresso nel Regno Unito di cittadini extra–SEE che siano rispettivamente altamente qualificati, studenti, oppure migranti temporanei. Il Tier 3 invece era stato originariamente previsto per lavoratori poco qualificati in situazioni di carenze temporanee di manodopera. Una forte domanda di lavoro dal SEE, i cui cittadini non necessitano del visto per lavorare nel Regno Unito, ha fatto sì che questo livello non sia mai stato utilizzato.
Per ogni livello, al richiedente viene assegnato un punteggio tenendo in considerazione una serie di requisiti (per esempio per il Tier 1 la conoscenza delle lingua inglese, la capacità di mantenersi finanziariamente, gli anni e le pregresse esperienze lavorative, oppure per il Tier 2 un’offerta di lavoro qualificato e un certificato di sponsorizzazione da un’organizzazione autorizzata nel Regno Unito).
In ragione del fatto che, se non diversamente disposto, anche i cittadini del SEE dovranno sottostare al PBS, il Governo britannico, a seguito di Brexit, potrebbe ritenere necessario aprire il Tier 3 per riempire il vuoto lasciato dai lavoratori europei. L’apertura del Tier 3 potrebbe essere vantaggioso per il settore marittimo in quanto potrebbero essere assunti nel Regno Unito lavoratori non europei a basso costo, che attualmente non posseggono le qualifiche per rientrare nel Tier 2.
e) La legislazione in materia di porti
Nel settore portuale, una questione rilevante a seguito della Brexit riguarderà le future politiche in merito alla circolazione delle persone e, come diretta conseguenza, se i controlli alle frontiere cambieranno al fine di attuarle.
Le potenziali modifiche ai controlli di frontiera sono di particolare interesse per gli operatori di crociere e traghetti; tuttavia, poiché il Regno Unito non fa parte di Schengen e il controllo dei passaporti è gia in atto nei porti britannici, non si prevedono cambiamenti pratici immediati. Eventuali cambiamenti alle regole doganali attualmente in vigore dipenderanno dall’esito dei negoziati relativi all’accesso del Regno Unito post–Brexit al mercato unico europeo.
Importanti decisioni dovranno essere prese anche in merito al Regolamento relativo ad un quadro comune europeo per i porti marittimi – ormai prossimo all’adozione – su cui il Regno Unito aveva opposto resistenze. Il destino di questo regolamento e di altre normative europee in tale settore dipenderà dalla politica attuata dal nuovo Governo e dalla partecipazione britannica al mercato unico, che potrebbe implicare il rispetto di una serie di obblighi legislativi. A tal proposito sarà necessario considerare termini più lunghi per valutare il rispetto da parte di alcuni porti britannici degli obblighi legislativi che sono stati imposti a seguito dell’assegnazione di finanziamenti europei in forza del programma UE Transport Networks (TEN-T).
In ogni caso, la politica britannica in tale settore dovrebbe essere orientata nel senso di consentire ai porti britannici di continuare a facilitare gli scambi commerciali, garantendo il flusso di merci e passeggeri.
GLI EFFETTI DI BREXIT SULLA TASSAZIONE DELLE ATTIVITÀ MARITTIME
Ritenendo improbabile l’abolizione dell’IVA, se il Regno Unito continuerà a far parte del SEE e quindi dell’unione doganale, i principi in materia di IVA sviluppati dalla giurisprudenza europea probabilmente continueranno ad essere applicati alle transazioni marittime.
Per quanto concerne la tassa sul tonnellaggio, sebbene il regime che la istituisce e disciplina sia nazionale, esso deve essere compatibile con la normativa UE in materia di aiuti di Stato. In caso di Brexit, il Governo britannico potrebbe sfruttare la mancanza dei vincoli posti dalla legislazione UE per ridurre la tassa sul tonnellaggio e quindi incentivare lo stabilimento sul proprio territorio di società di navigazione straniere.