L’INCERTEZZA IN MERITO AI FUTURI ACCORDI POST-BREXIT TRA REGNO UNITO ED UNIONE EUROPEA STA SPINGENDO LE PIÙ GRANDI BANCHE BRITANNICHE A PIANIFICARE UN TRASFERIMENTO DALLA CITY VERSO UNA DESTINAZIONE SUL CONTINENTE EUROPEO PER GLI INIZI DEL 2017, MENTRE LE BANCHE PIÙ PICCOLE SI STAREBBERO PREPARANDO A LASCIARE LONDRA GIÀ ENTRO LA FINE DEL 2016.
Nei giorni scorsi sono circolate voci riguardo la possibilità che il governo di Theresa May possa ottenere dall’UE l’accesso al mercato unico europeo per determinati settori dell’economia nazionale, in primis quello finanziario, e ciò anche se il Regno Unito dovesse successivamente uscirne. Il fatto però che la May continui a negare una rinuncia all’imposizione di limiti all’immigrazione induce a ritenere che l’ipotesi di conservare l’accesso al mercato unico sia difficilmente percorribile, anche qualora il Regno Unito continuasse a versare a Bruxelles parte dei contributi del budget comunitario.
In caso di “hard Brexit”, ovvero di un’uscita totale del Regno Unito dall’UE e dal mercato comune, la City rischia inoltre di perdere i cosiddetti “passport rights”, cioè il diritto di vendere servizi e prodotti finanziari al resto d’Europa senza pagare dazi doganali. Questo tipo di business rappresenta il 20% del fatturato della City e, per non perderlo, le banche starebbero quindi pensando di traslocare almeno parte delle proprie attività fuori da Londra, in città come Dublino, Parigi o Vienna, ad esempio.
Anthony Browne, presidente e amministratore delegato della British Bankers’ Association, ha dichiarato a tal proposito che “il dibattito pubblico e politico su Brexit ci sta portando nella direzione sbagliata” e che “la maggior parte delle banche internazionli hanno già progetti per decidere quali parti delle loro operazioni devono essere trasferite per non perdere clienti”.
Nel suo intervento, Browne ha, comunque, criticato entrambe le parti. Ricordando al governo May che, secondo un sondaggio di CityUk, un think tank finanziario, il settore bancario costituisce la più grande fonte di esportazione nazionale per la City che rischierebbe, cosí, di perdere 70 mila posti di lavoro. Rivolgendosi invece all’UE, Browne ha affermato che le banche stabilite a Londra prestano all’Europa più di un trilione di sterline e che rompere questo legame sarebbe rischioso anche per Bruxelles.
Pietro Michea