A seguito della seconda bocciatura dell’Accordo di uscita, in data 14 marzo 2019, il Parlamento britannico ha deciso, con 412 voti favorevoli e 210 contrati, di estendere il periodo previsto dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE).
Il rinvio della data di uscita chiesto da Londra non è automatico, ma dovrà essere approvato dall’Unione Europea all’unanimità durante il vertice previsto per il 21 e il 22 marzo 2019, sulla base della durata del periodo di estensione richiesto e delle motivazioni apportate.
Prima del voto sul rinvio della data di uscita, il Parlamento britannico aveva respinto delle mozioni che prevedevano un nuovo referendum sulla Brexit e proponevano maggiori poteri per il Parlamento nella gestione della Brexit.
La procedura dinanzi al Parlamento britannico prevede un terzo voto sull’Accordo di uscita raggiunto dalla Premier britannica Theresa May e l’Unione Europea, previsto per il 20 marzo 2019. In caso di approvazione, Theresa May richiederà un’estensione non oltre il 30 giugno 2019; in caso di nuova bocciatura, invece, la Premier britannica chiederà comunque un’estensione, che avrà tuttavia durata più lunga, oltre giugno 2019, il che implica che il Regno Unito dovrà partecipare alle elezioni europee di maggio 2019.
Tuttavia, il 18 marzo, lo Speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, ha dichiarato che, conformemente alle Convenzioni parlamentari risalenti al 1604, il Governo non può riproporre per la terza volta un Accordo che è stato già bocciato due volte, in assenza di modifiche sostanziali. Secondo Bercow, i cambiamenti proposti nell’Accordo tra il voto di gennaio e il secondo voto di marzo equivalgono ad una “proposta diversa” presentata ai parlamentari e, pertanto, il secondo voto era in linea con le Convenzioni parlamenti del 1844 (cd. Erskine May).
Un portavoce della Premier britannica ha osservato che Bercow non aveva preavvertito del suo statement, aggiungendo che al momento Theresa May non è in condizione di proporre un nuovo voto, essendo ancora in corso i colloqui con i deputati dissidenti del suo partito. Il Solicitor General del Governo, Robert Buckland, ha invece criticato Bercow, parlando di “interventismo” costituzionale.
A seguito della dichiarazione di Bercow, risulta improbabile che il Governo sottoporrà nuovamente l’Accordo ad esame del Parlamento. Inoltre, in mancanza del terzo voto, la May probabilmente non chiederà un’estensione breve del periodo ex articolo 50 TUE, ma si troverà costretta a chiedere un’estensione oltre giugno 2019.
Bruxelles rimane ufficialmente in attesa del vertice europeo del 21-22 marzo, in cui Theresa May dovrà dichiarare chiaramente come intende procedere, e ribadisce che non vi saranno ulteriori negoziazioni sull’Accordo di uscita.
Nel frattempo, per attenuare le conseguente di un no deal scenario, il Regno Unito ha annunciato che taglierà temporaneamente le tariffe su circa l’87% delle importazioni in caso di uscita senza accordo. Le misure previste resterebbero in vigore per 12 mesi e mirano a proteggere l’industria nazionale ed i posti di lavoro, nonché a prevenire un aumento dell’inflazione. Il Governo britannico ha aggiunto che il Regno Unito eliminerà unilateralmente i controlli sulle merci che attraversano il confine dell’Irlanda del Nord. Resteranno in ogni caso in vigore, per proteggere la produzione nazionale, le tariffe su auto, carne di manzo, agnello, maiale, pollame e latticini.
Sara Capruzzi