IL 23 GIUGNO E’ ORMAI STORIA

“ SHOULD THE UNITED KINGDOM REMAIN A MEMBER OF THE
EUROPEAN UNION OR LEAVE THE EUROPEAN UNION? “

+30 MILIONI DI PERSONE (PARI AL 71,8% DEGLI AVENTI DIRITTO) SONO AFFLUITE ALLE URNE PER ESPRIMERE IL LORO VOTO SU UN REFERENDUM CHE È GIÀ PASSATO ALLA STORIA. 

CON IL 51,9% HA VINTO IL “LEAVE”: HA PREVALSO, CIOE’, LA VOLONTÀ DI FAR USCIRE IL REGNO UNITO DALL’UE (LA COSIDDETTA “BREXIT“).

Sebbene il referendum abbia soltanto valore consultivo, il Governo britannico, che l’ha proposto, si era impegnato ad avviare la procedura per far recedere il Regno Unito dall’UE, qualora – come poi si è verificato – vi fosse stata la vittoria del leave.

E INTANTO CAMERON SI E’ DIMESSO
Prendendo atto della volontà popolare, il Primo Ministro del governo britannico, il conservatore David Cameron, ha rassegnato le proprie dimissioni e ha dichiarato che il paese ha bisogno di una nuova leadership che dovrà condurre il paese in questa nuova delicata fase. In altre parole, è verosimile che non sarà questo governo a fare i passi successivi e conseguenti al voto.

CHE COSA PREVEDE L’ART. 50 DEL TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA

NEL 2009 IL TRATTATO DI LISBONA HA INTRODOTTO, ALL’ARTICOLO 50 DEL TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA (“TUE”), LA POSSIBILITÀ PER UNO STATO MEMBRO DI RECEDERE DALL’UE, ATTRAVERSO UN’ARTICOLATA PROCEDURA ALL’UOPO ISTITUITA.

SPETTERÀ AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO IN CARICA NOTIFICARE FORMALMENTE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO L’INTENZIONE DEL REGNO UNITO DI RECEDERE DALL’UE. L’ARTICOLO 50 TUE NON STABILISCE ALCUN TERMINE TEMPORALE ENTRO IL QUALE UNO STATO MEMBRO DEVE NOTIFICARE LA SUA INTENZIONE DI RECEDERE. SPETTERÀ DUNQUE AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO IN CARICA DECIDERE QUANDO NOTIFICARE AL CONSIGLIO EUROPEO IL RISULTATO DEL REFERENDUM.

La data in cui verrà effettuata la notifica formale assumerà una grande importanza poiché, a partire da quel momento, inizierà a decorrere il termine di due anni alla scadenza del quale i Trattati cesseranno automaticamente di essere applicati nei confronti del Regno Unito a meno che non venga raggiunto un accordo di recesso tra quest’ultimo e l’UE, che dovrà essere approvato, a maggioranza qualificata (cioè la maggioranza del 72% dei restanti 27 Stati membri, rappresentanti il 65% della popolazione), dal Consiglio dell’UE, previa approvazione del Parlamento europeo.

Tale termine potrà anche essere prolungato, a condizione che venga trovata un’intesa tra il Consiglio europeo, che dovrà deliberare all’unanimità e lo Stato recedente.

LA PROCEDURA CHE COSA PREVEDE?
In merito alla procedura per la conclusione dell’accordo di recesso, una volta notificata la richiesta da parte del Regno Unito, spetterà alla Commissione europea, alla luce degli orientamenti del Consiglio europeo, il compito di proporre apposite raccomandazioni al Consiglio della UE. In forza di tali raccomandazioni il Consiglio dell’UE adotterà una decisione con la quale autorizzerà l’apertura dei negoziati e nominerà il negoziatore dell’UE o il team di negoziatori dell’UE.

I negoziati tra l’UE e il Regno Unito dovranno essere condotti in conformità con l’art. 218, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’UE (“TFUE”), che infatti disciplina le trattative per la conclusione da parte dell’UE di accordi internazionali con Stati terzi.

MOLTE LE INCOGNITE CHE SI APRONO. A COMINCIARE DA SCOZIA E IRLANDA

I TEMI DA INCLUDERE NELL’ACCORDO DI RECESSO SONO MOLTEPLICI E VARIANO DA QUESTIONI PRATICHE SU COME GESTIRE L’USCITA NELL’IMMEDIATO FINO A TEMI PIÙ ISTITUZIONALI E DI PRINCIPIO COME L’IMPOSTAZIONE DELLE FUTURE RELAZIONI TRA IL REGNO UNITO, L’UE E I SUOI STATI MEMBRI. IL RISCHIO È CHE UNA TALE NEGOZIAZIONE POSSA RICHIEDERE MOLTO PIÙ DEI DUE ANNI PREVENTIVATI DALL’ARTICOLO 50 TUE.

Inoltre bisogna considerare l’incognita relativa alla Scozia che, come annunciato in campagna elettorale e subito dopo il referendum, sta valutando l’opportunità di riproporre un nuovo referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, vista la volontà espressa dal 62% dei cittadini scozzesi di continuare a far parte dell’UE, oppure di bloccare in seno al Parlamento la ratifica del risultato del referendum del 23 giugno.

Altra incognita potrebbe essere rappresentata dall’Irlanda del Nord, stato facente parte del Regno Unito, la cui popolazione si è espressa con ampia maggioranza contro Brexit e dove il partito independentista, lo Sinn Fein, ha già detto che intende chiedere un referendum per lasciare il Regno Unito e ricongiungersi alla Repubblica d’Irlanda e, così, rimanere nell’Unione Europea.

MAI SUCCESSO PRIMA
Il Regno Unito si potrebbe trovare quindi a negoziare allo stesso tempo il suo recesso dall’UE e l’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda del Nord che contemporaneamente potrebbero negoziare la loro permanenza/accesso all’UE come Stati indipendenti. In tale contesto il Regno Unito dovrà anche decidere se rinegoziare, e in che modo, tutti gli accordi di libero scambio e gli altri accordi internazionali firmati dall’UE con Stati terzi. Poiché nessuno Stato membro si era mai avvalso della possibilità di recesso riconosciuta dall’art. 50 TUE, non esistono precedenti da poter prendere come esempio per capire come l’uscita del Regno Unito verrà negoziata e gestita. Il recesso del Regno Unito non può essere paragonato a quello della Groenlandia e della Algeria, che rappresentano dei casi particolari precedenti all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

IN QUESTA TOTALE INCERTEZZA, E POSSIBILE IMMAGINARE 4 SCENARI

ATTUALMENTE NON È CHIARO COME IL REGNO UNITO ABBIA INTENZIONE DI PORSI NEI CONFRONTI DELL’UE E DI CONSEGUENZA COSA INTENDA CHIEDERE DURANTE I NEGOZIATI CHE SI APRIRANNO A SEGUITO DELLA NOTIFICA DELLA RICHIESTA DI RECESSO, COSÌ COME NON È CHIARO COSA L’UE SIA REALMENTE INTENZIONATA AD ACCETTARE E QUALE POSIZIONE ASSUMERÀ NEI CONFRONTI DI QUELLO CHE DIVENTERÀ A TUTTI GLI EFFETTI UN EX-STATO MEMBRO.
Si possono tuttavia ipotizzare i seguenti scenari.

Il Regno Unito potrebbe:
a) entrare a far parte dello Spazio Economico europeo (“SEE”) seguendo il modello della Norvegia. In questo caso il Regno Unito avrebbe il più ampio accesso possibile al mercato unico, ma sarebbe tenuto a rispettarne le norme, senza poter apporre alcun tipo di veto nell’ambito delle loro procedure di adozione;

b) seguire il modello svizzero, entrando a far parte dell’EFTA (European Free Trade Association), e firmando singoli accordi bilaterali con l’UE per garantirsi un accesso, seppur limitato, al mercato interno;

c) creare un’unione doganale con l’UE, come ha fatto la Turchia, ma anche in questo caso sarebbe tenuta a seguire alcune politiche commerciali stabilite dall’UE, senza poter esercitare alcun tipo di veto;

d) negoziare con l’UE degli accordi di libero scambio, proprio come l’UE sta facendo con il Canada o la Corea del Sud. Questo tipo di accordi sono solitamente lunghi da negoziare e, per quanto riguarda il settore dei servizi, non si spingono quasi mai oltre quanto previsto dai General Agreements in Trade and Services della World Trade Organization.

Se nessuno dei modelli precedenti o altri tipi di accordo venissero adottati, i rapporti commerciali tra il Regno Unito e l’UE verrebbero gestiti in base al modello WTO, essendo entrambi i soggetti membri di tale organizzazione. Cameron ha dichiarato in alcune occasioni, prima del referendum, che le ipotesi a) e b) sarebbero state da escludere, poiché avrebbero comportato l’applicazione nel Regno Unito di norme UE su cui non si sarebbe potuta esercitare alcuna influenza nel corso del loro processo di adozione. Cameron ha successivamente dichiarato di non escludere alcuna ipotesi.

Si noti che l’articolo 50 TUE non prevede alcuna clausola per ritirare la notifica di recesso dall’UE e nessun meccanismo per poter interrompere la procedura di uscita.