Il referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e l’attivazione delle procedure di cui all’articolo 50 del TUE da parte del Primo Ministro britannico Theresa May hanno suscitato un vasto dibattito sul futuro dell’Europa. È un evento di portata storica, le cui conseguenze coinvolgeranno gli ambiti più disparati, ivi compreso quello della difesa e della sicurezza comune.
Sin dalla fine degli anni Novanta, con il vertice di Saint-Malo del 19981, il Regno Unito ha rivestito un ruolo centrale nell’ambito della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC). Il Regno Unito è stato un attore chiave sia sul piano operativo (si pensi al ruolo ricoperto in diverse missioni internazionali a guida UE) che su quello delle capacità militari e industriali ed è uno dei pochi Paesi europei ad aver rispettato l’impegno assunto volontariamente a livello NATO da tutti i membri dell’Alleanza, di allocare il 2% del PIL in spese per la difesa.
La Brexit comporterà per la PSDC la perdita di uno dei suoi “azionisti di riferimento”, oltre che di un membro con diritto di veto sulle decisioni comuni. Basti pensare che la quota più rilevante degli investimenti nel settore della difesa nell’Unione è garantita da Regno Unito e Francia. Solo la Grecia, oltre al Regno Unito, dedica più del 2% del proprio PIL annuo alla spesa militare2.
La PSDC è nata sostanzialmente su iniziativa franco-britannica. Pertanto, la prima implicazione della Brexit sarà di natura politica e comporterà una rivisitazione del modello di governance della stessa PSDC.
Roberto A. Jacchia e Davide Scavuzzo