ELEZIONI BRITANNICHE: TORY SENZA MAGGIORANZA

In data 8 giugno 2017, il Regno Unito è stato chiamato alle urne per il rinnovo della House of Commons.

La Premier conservatrice, Theresa May, che ha sostituito David Cameron dopo le sue dimissioni in seguito all’esito del referendum sulla Brexit, ha indetto il voto con tre anni d’anticipo rispetto alla scadenza naturale e dopo meno di un anno al Governo. A metà aprile 2017 la May aveva infatti chiesto al Parlamento di far tornare gli elettori a esprimersi. Il suo obiettivo era inseguire una maggioranza stabile e numericamente forte che potesse sostenere la scelta di perseguire la cosiddetta hard Brexit nei negoziati con l’Unione Europea.

Tuttavia la leadership della May, annunciata come “forte e stabile”, ha dato i primi segni di cedimento già all’inizio della campagna elettorale, con il dietro front su un possibile aumento delle tasse prima annunciato nel manifesto poi subito cancellato dopo le proteste.

La “scommessa” delle elezioni, dunque, è stata persa da Theresa May, che pur essendo a capo del primo partito nel Regno Unito, non è riuscita a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi di Westminster. Il Partito Conservatore ha perso ben 13 seggi attestandosi a 317, seguito dal Partito Laburista di Corbyn che con 262 parlamentari eletti ha aumentato di 30 seggi la sua presenza nel Parlamento britannico. Seguono il Partito Nazionale scozzese di Nicola Sturgeon (35 seggi), il Partito Liberal-democratico (12 seggi) e il Partito Unionista Democratico (10 seggi) seguito da altri partiti minori.

Il risultato delle elezioni è stato quello di un “hung Parliament”, ossia di un Parlamento “appeso” alla necessità di creare un Governo di coalizione poiché nessun partito è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta (326). I Tory sono rimasti il primo partito, ma hanno perso la maggioranza assoluta; in quanto leader del partito di maggioranza relativa, Theresa May ha negoziato un accordo con il Partito Unionista Democratico (Democratic Unionist Party, DUP dell’Ulster), che ha promesso di votare la fiducia al Governo conservatore pur non entrando a far parte di un Governo di coalizione con i Tory. I 10 deputati del DUP saranno quindi decisivi per permettere al Partito Conservatore di giungere alla maggioranza necessaria per governare.

Alcune new entry del secondo mandato della May saranno Damien Green come nuovo Segretario di Stato in sostituzione di George Osborne, e il ritorno di Michael Gove all’ambiente, mentre il capogruppo conservatore ai Comuni David Lidington diventa Ministro della Giustizia.

L’accordo con il DUP non implica necessariamente stabilità ed il risultato delle elezioni ha provocato incertezza per lo svolgimento dei negoziati per la Brexit, che dovrebbero iniziare il 19 giugno. Il Partito Conservatore potrebbe essere costretto a rinunciare ad una hard Brexit, ossia ad un’uscita netta dall’Unione Europea, e optare invece per una soft Brexit, salve eventuali dimissioni da parte di Theresa May o nuove elezioni, ipotesi che provocherebbero però ritardi significativi per le trattative e per il raggiungimento di un accordo d’uscita entro Marzo 2019.

Da Bruxelles, non sono mancate le critiche. Il capogruppo del Partito Popolare Europeo Manfred Weber, ha affermato: “L’UE è unita, la Gran Bretagna è profondamente divisa. La premier May voleva la stabilità e invece ha portato il caos nel suo Paese”. Anche il presidente del gruppo S&D al Parlamento Europeo, Gianni Pittella, in un comunicato ha affermato: “Siamo fieri della grande campagna e dei risultati del Labour. E’ un disastro per Theresa May. Ha fatto una enorme scommessa che le si è ritorta contro in modo spettacolare. Dovrebbe dimettersi, non ha credibilità né nel suo Paese né in Europa”.

Dopo aver ribadito che l’esito del voto rappresenta senza dubbio una sconfitta per l‘hard Brexit e i populisti, ma anche per l’ala più dura dei conservatori, il presidente del Parlamento Europeo Tajani ha osservato come il negoziato andrà comunque avanti, affermando che “Le cose potrebbero cambiare solo se la Gran Bretagna ritirasse la richiesta di applicazione dell’articolo 50”.

 

Davide Scavuzzo