Le libertà di movimento, grande conquista storica dell’Unione Europea, hanno modellato le scelte di vita di molti cittadini, che hanno deciso di stabilirsi in uno Stato Membro diverso da quello di origine.
L’uscita del Regno Unito dall’Unione potrebbe mettere a repentaglio i diritti già acquisiti dai cittadini europei che hanno deciso di trascorrere la loro vita, o parte di essa, nel Regno Unito, e dai cittadini britannici che hanno a loro volta scelto di spostarsi sul continente.
Si tratta, in particolare, dei diritti c.d. di status, cioè di residenza e di permanenza in uno Stato Membro, dei diritti derivanti dalla contribuzione pensionistica o dal pagamento di tasse, dei diritti di studio e riconoscimento dei diplomi e dei diritti a conseguire un’abilitazione, una licenza o una situazione qualificante.
È fuor di dubbio che tali diritti rischiano di essere messi in discussione a seguito della Brexit, in quanto (come vedremo), se non diversamente previsto negli accordi di uscita di cui all’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), sembra difficile individuare per essi tutele certe nei Trattati costitutivi o negli strumenti di diritto internazionale.
L’argomento è ricco di spunti pertanto è stato suddiviso in tre parti:
Prima parte:
– COSA SONO I DIRITTI QUESITI? QUALI TUTELE SONO REPERIBILI NEI TRATTATI COSTITUTIVI O NEL DIRITTO INTERNAZIONALE?
Seconda parte:
– QUALI DIRITTI RISCHIANO DI ESSERE MAGGIORMENTE COLPITI?
– I DIRITTI DERIVANTI DALLO STATUS DI STATO TERZO
Terza parte:
– QUALE FUTURO?
COSA SONO I DIRITTI QUESITI? QUALI TUTELE SONO REPERIBILI NEI TRATTATI COSTITUTIVI O NEL DIRITTO INTERNAZIONALE?
I diritti quesiti sono diritti individuali non soggetti a revoca o decadenza automatica nel momento in cui un trattato o una legge che li aveva conferiti cessino di applicarsi. A livello UE sono considerati diritti quesiti quelli consacrati dai Trattati e dall’ acquis comunitario.
I Trattati costitutivi si distinguono dagli altri trattati internazionali in quanto conferiscono diritti individuali che “diventano parte del retaggio legale” comune degli Stati Membri (cit. sentenza Van Gend en Loos del 1962). Da quando il Regno Unito ha aderito all’allora Comunità Economica Europea (CEE) nel 1973, ha beneficiato dell’immensa gamma di diritti e libertà forniti dall’ordinamento dell’Europa unita.
La Brexit comporterà non solo la cessazione dell’applicazione nei confronti del Regno Unito di tali Trattati, ma anche di qualsiasi legge nazionale che renda effettivo il diritto dell’Unione, che conseguentemente dovrà essere abrogata o modificata.
Nello specifico, come affermato dal Premier britannico Theresa May nel suo discorso sulla Hard Brexit del 17 gennaio scorso (si veda il seguente LINK), tutte le norme di derivazione europea verranno mantenute al momento dell’uscita, essendo poi compito del Parlamento decidere se mantenerle, abrogarle o modificarle. In ogni caso, la loro fonte di derivazione muterà.
Come è noto, i Trattati costitutivi – ed in particolare modo l’art. 50 TUE – non disciplinano le conseguenze che il recesso di uno Stato Membro può avere sui diritti già acquisiti dai cittadini dell’Unione, a differenza di altri accordi internazionali, come ad esempio la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU), che prevedono specifiche disposizioni transitorie al riguardo. Il problema rimane dunque aperto.
Anche l’eventuale ricorso a principi generali dell’ordinamento dell’Unione, come quello della certezza del diritto e quello del legittimo affidamento, potrebbe non rappresentare una valida soluzione. Infatti, sebbene la certezza del diritto in linea di principio comporti la non–retroattività delle norme modificative, estintive ed ablative e, appunto, la tutela del legittimo affidamento, questi principi non sarebbero più una fonte normativa in senso proprio a cui i cittadini europei residenti nel Regno Unito oppure i cittadini britannici residenti in un diverso Stato Membro potrebbero fare riferimento, una volta che la Brexit diverrà effettiva.
A livello internazionale, l’eventuale ricorso al principio del rispetto dei diritti quesiti, che costituisce parte integrante del diritto internazionale generale, verosimilmente non fornirebbe un valido supporto giuridico, in quanto la sua applicazione è riferita agli Stati, e non già ai singoli.
L’art. 70, paragrafo 1, lett. b) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che tratta delle conseguenze dell’estinzione di un trattato, recita:
“… A meno che il trattato non disponga altrimenti o le parti non convengano altrimenti, la cessazione di un trattato in base alle disposizioni in esso contenute o in base alla presente convenzione:
b) non pregiudica alcun diritto, alcun obbligo né alcuna situazione giuridica delle parti che sia venuta a crearsi a motivo dell’esecuzione del trattato prima della sua cessazione …”.
Le parti a cui si fa riferimento in questo articolo non sono, peró, gli individui, bensì gli Stati contraenti. Questa interpretazione è stata confermata dalla Commissione per il Diritto Internazionale delle Nazioni Unite (organo sussidiario permanente istituito per promuovere lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione) nel commentare l’articolo 66 della Convenzione (predecessore dell’articolo 70 di identica portata).
Peraltro, una parte della dottrina sostiene che la CEDU potrebbe rappresentare una base giuridica di protezione dei diritti quesiti che sono ugualmente tutelati da quest’ultima e dal diritto comunitario. Infatti, i diritti acquisiti dai cittadini di uno Stato parte della Convenzione EDU rimangono immutati, anche laddove esso si scinda in due Stati sovrani. Non essendovi necessità per gli Stati così formatisi di ratificare nuovamente la CEDU, i cittadini dell’uno e dell’altro continuano a godere dei diritti riconosciuti dalla stessa così come ratificata dallo Stato pregresso di origine.
Però, contro tale interpretazione, milita la circostanza che, nella maggior parte dei casi, i diritti quesiti di derivazione unionale hanno carattere economico, e sono di regola disciplinati da legislazione europea secondaria e non direttamente dai Trattati costitutivi.
Ad ogni modo, la CEDU potrebbe giuocare un ruolo per tutelare alcuni diritti correlati, per esempio, alla tutela della proprietà e della famiglia. Si tratta di settori per cui la protezione della Convenzione EDU è relativamente forte, come ad esempio in caso di deportazioni. L’area in cui la CEDU è più carente è invece quella relativa ai diritti di uguaglianza, che al momento sono prevalentemente collegati alla cittadinanza dell’Unione.
Pietro Michea