Come riportato da questo blog (si veda il seguente LINK), il 24 gennaio scorso, la Corte Suprema del Regno Unito ha sentenziato che il Governo britannico non è costituzionalmente legittimato ad attivare la clausola di recesso dall’Unione di cui all’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea prima del voto favorevole del Parlamento.
La sentenza del 24 gennaio rappresenta il passaggio conclusivo di una vicenda giudiziaria che ha preso il via pochi giorni dopo il referendum del 23 giugno 2016. Infatti, già il 26 giugno 2016, una prima azione giudiziaria sulla necessità di sottoporre al voto parlamentare la possibilità di invocare l’art. 50 era stata instaurata dal Sig. Deir Dos Santos. Il 29 luglio 2016, tale azione è stata riunita a quella proposta dalla Sig.ra Gina Miller, da allora considerata l’attrice principale del procedimento a cui hanno partecipato ulteriori soggetti che hanno preferito mantenere riservate le proprie identità.
Il processo di primo grado si è svolto dinanzi alla High Court of England and Wales, nel corso di tre udienze (tenutesi il 13, 17 e 18 ottobre 2016).
In particolare, i legali di Gina Miller hanno sostenuto che il Governo non avrebbe potuto invocare la clausola di recesso di cui all’art. 50, senza previa consultazione del Parlamento, poiché l’uscita del Regno Unito dall’Unione comporterebbe l’abrogazione della Legge sulle Comunità Europee del 1972 (“European Communities Act 1972”), con cui il Parlamento britannico aveva regolato l’accesso del Paese all’allora Comunità e disposto l’incorporazione del diritto comunitario nell’ordinamento interno.
L’abrogazione di tale Legge comporterebbe quindi la decadenza di tutte le norme europee non trasposte nel diritto interno ed il riacquisto da parte del Parlamento di tutti i poteri attualmente trasferiti alle Istituzioni europee. Ne conseguirebbe che il Governo non potrebbe abrogare una legge approvata dal Parlamento ed i diritti che da essa conseguono, senza un preventivo voto dello stesso.
L’Attorney-general Jeremy Wright, in rappresentanza dell’Esecutivo, aveva invece sostenuto che un voto parlamentare sulla Brexit era già stato espresso con l’approvazione dell’European Union Referendum Act 2015 (“EU Act 2015”), con cui il Governo – allora guidato dal conservatore David Cameron – aveva proposto di indire un referendum non vincolante sulla Brexit.
Le parti hanno inoltre discusso sull’applicabilità e sull’effettiva portata delle c.d. royal prerogatives, cioè quei residui poteri governativi, tra cui quello di concludere trattati, ancora nella disponibilità del monarca (che oggi vengono peró esercitati dal Governo o direttamente dal monarca regnante, a seguito di specifiche indicazioni ministeriali), senza necessità di consultare il Parlamento.
Il 3 novembre 2016, i giudici della High Court hanno statuito che la possibilità di azionare la procedura prevista dall’art. 50 TUE non rientra tra le royal prerogatives, affermando che l’avvio di tale procedura avrebbe comportato l’abrogazione di numerosi diritti conferiti da atti del Parlamento che, ai sensi del principio della sovranità parlamentare, possono essere revocati solamente dal Parlamento che li aveva precedentemente adottati.
L’Attorney-general ha impugnato la sentenza direttamente dinanzi alla Supreme Court senza grado di appello (col consenso di tutte le parti: c.d. leap-frog appeal). La Supreme Court, per la prima volta nella sua storia, ha udito il caso en banc, cioè con tutti i giudici riuniti per partecipare alle udienze e contribuire all’adozione della decisione finale (la Supreme Court è composta da dodici giudici, anche se al momento della trattazione del caso un seggio risultava vacante).
Durante le udienze, che si sono tenute tra il 5 e l’8 dicembre 2016, l’Attorney-general ha ribadito che, seppure negli anni le royal prerogatives siano state progressivamente limitate a specifici poteri, non era mai stata messa in discussione la facoltà del Governo di concludere o ritirarsi da accordi internazionali, senza il previo consenso del Parlamento.
In tale contesto, la circostanza che il referendum sulla Brexit fosse stato indetto con approvazione parlamentare dell’EU Act 2015, non avrebbe potuto comportare che per l’attivazione delle procedure di cui all’art. 50 TUE sarebbe stato necessario consultare nuovamente il Parlamento.
É stato inoltre sostenuto che, poiché i diritti di derivazione unionale vengono riconosciuti (e non creati) dalla legislazione britannica, tali diritti potrebbero essere modificati e/o rimossi solo grazie alle royal prerogatives, in quanto trovano la loro fonte nel diritto internazionale e non nel diritto interno.
La sentenza della Supreme Court è stata emessa il 24 gennaio 2017. Con essa otto giudici – Lady Hale, Lord Mance, Lord Kerr, Lord Clarke, Lord Wilson, Lord Sumption, Lord Hodge e il Presidente della Supreme Court, Lord Neuberger – hanno confermato la sentenza della High Court, mentre i restanti tre giudici – Lord Reed, Lord Carnwath e Lord Hughes – hanno manifestato la loro posizione dissenziente.
I paragrafi 90 e 91 della sentenza affermano quanto segue:
“… The EU Treaties as implemented pursuant to the 1972 Act were and are unique in their legislative and constitutional implications. In 1972, for the first time in the history of the United Kingdom, a dynamic, international source of law was grafted onto, and above, the well-established existing sources of domestic law: Parliament and the courts. And, as explained in paras 13–15 above, before (i) signing and (ii) ratifying the 1972 Accession Treaty, ministers, acting internationally, waited for Parliament, acting domestically, (i) to give clear, if not legally binding, approval in the form of resolutions, and (ii) to enable the Treaty to be effective by passing the 1972 Act. Bearing in mind this unique history and the constitutional principle of Parliamentary sovereignty, it seems most improbable that those two parties had the intention or expectation that ministers, constitutionally the junior partner in that exercise, could subsequently remove the graft without formal appropriate sanction from the constitutionally senior partner in that exercise, Parliament.
The improbability of the Secretary of State’s case is reinforced by the point that, if, as he contends, prerogative powers could be invoked in relation to the EU Treaties despite the provisions of the 1972 Act, it would have been open to ministers to take such a course on or at any time after 2 January 1973 without authorisation by Parliament. It would also follow that ministers could have taken that course even if there had been no referendum or indeed, at least in theory, even if any referendum had resulted in a vote to remain. Those are implausible propositions …”.
I giudici della Supreme Court hanno anche affrontato la questione della necessità o meno di ottenere il consenso all’attivazione della Brexit da parte del Parlamento scozzese, dell’Assemblea Nazionale del Galles e dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord, giungendo ad una conclusione negativa.
Due giorni dopo la sentenza della Supreme Court, il Governo guidato da Theresa May ha presentato al Parlamento l’European Union (Notification of Withdrawal) Bill 2017 (“EU Bill 2017”) di cui, il giorno medesimo (i.e. 26 gennaio 2017), è stata data prima lettura. Questo atto è finalizzato a conferire al Primo Ministro il potere di avviare formalmente le procedure per l’uscita del Regno Unito dall’Unione ai sensi dell’art. 50 TUE.
Il leader del partito laburista, Jeremy Corbyn, ha chiesto ai parlamentari del suo partito di non bloccare l’EU Bill 2017.
Il 1° febbraio, la proposta ha ricevuto il primo via libera da parte di 498 membri del Parlamento che hanno votato a favore, contro 114 contrari, tra cui 47 laburisti. La proposta di legge dovrà essere ulteriormente esaminata in seconda lettura dalla House of Commons e dalla House of Lords prima di diventare legge.
I membri del Parlamento per le loro valutazioni potranno fare riferimento al White Paper “The United Kingdom’s exit from and new partnership with the European Union”, pubblicato il 2 febbraio 2017 dal Segretario di Stato per l’uscita dall’Unione, David Davis.
I white paper sono documenti attraverso cui il Governo indica le proprie strategie in determinati ambiti o presenta approfonditamente le proprie proposte di legge. Essi rappresentano perció un utile strumento per elaborare eventuali modifiche prima dell’adozione formale di una legge.
Il White Paper che accompagna l’EU Bill 2017, specifica le strategie che il Governo intende adottare nelle negoziazioni per l’uscita del Regno Unito dall’Unione, più precisamente, esso riprende e approfondisce i dodici punti che la Premier Theresa May aveva illustrato nel suo discorso sulla Brexit del 17 gennaio 2017.
Secondo il White Paper, i dodici punti su cui le negoziazioni si baseranno sono:
- Fornire chiarezza e certezza in merito alle negoziazioni e al futuro del Regno Unito;
- Riprendere il controllo della legislazione britannica ponendo fine alla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione nel Regno Unito;
- Rafforzare il Regno Unito grazie a un accordo con l’UE che sia funzionale a tutto il Regno;
- Proteggere il forte e storico legame con l’Irlanda mantenendo la Common Travel Area con tale Paese pur proteggendo l’integrità del sistema britannico d’immigrazione;
- Controllare l’immigrazione;
- Salvaguardare i diritti dei cittadini UE che già vivono nel Regno Unito e vice versa;
- Proteggere i diritti dei lavoratori;
- Assicurare il libero commercio con i mercati europei, con l’obiettivo di creare una nuova e ampia partnership strategica con l’Unione che ricomprenda anche un accordo di libero scambio ed un vantaggioso accordo doganale;
- Assicurare nuovi accordi commerciali con altri Paesi a livello globale;
- Garantire che il Regno Unito rimanga all’avanguardia nella ricerca scientifica e nell’innovazione anche grazie alla stretta collaborazione con i partner europei;
- Cooperare nella lotta al terrorismo e alla criminalità continuando a lavorare insieme all’Unione per preservare la sicurezza europea e garantire la giustizia;
- Portare a termine una tranquilla e ordinata uscita dall’Unione seguendo un processo a tappe che permetterà al Regno Unito, alle Istituzioni europee e agli Stati Membri dell’UE di prepararsi e adattarsi ai nuovi accordi che entreranno in vigore.
Nel White Paper si fa anche riferimento al fatto che, a causa della delicatezza delle materie trattate durante i negoziati e per il buon esito degli stessi, sarà talvolta necessario non presentare pubblicamente la posizione che il Regno Unito intenderà sostenere su determinati temi ed astenersi dal fare commenti sulle trattative.
In ogni caso, l’accordo finale che sarà raggiunto tra Unione e Regno Unito verrà sottoposto all’approvazione del Parlamento britannico.
Roberto A. Jacchia e Pietro Michea