Il Regno Unito è il terzo mercato più importante in Europa nel settore dei dispositivi medici, soprattutto per le aziende statunitensi che detengono una rilevante quota di mercato, in ragione del favore accordato dalla legislazione britannica alla protezione dei relativi diritti di proprietà intellettuale.
Per tale motivo, nel 2015, i produttori statunitensi di dispositivi medici hanno depositato circa 6.000 brevetti europei, di cui la quasi totalità designa il Regno Unito.
Nonostante ciò, l’instabilità e il declino dell’economia britannica, pronosticabili ad esito della Brexit, potrebbero incidere negativamente sul settore. Infatti, tale mercato, che già subisce le sempre più stringenti politiche di risparmio della spesa sanitaria, potrebbe subire un ulteriore ridimensionamento a causa dei limiti all’accesso al mercato unico con cui i fabbricanti che abbiano stabilito la propria sede nel Regno Unito potrebbero doversi confrontare.
LA LEGISLAZIONE UE IN MATERIA DI DISPOSITIVI MEDICI (APPLICABILE ANCHE AL REGNO UNITO FINO ALLA BREXIT)
Il quadro regolatorio dei dispositivi medici è stato armonizzato agli inizi degli anni ’90 con tre direttive (la n. 90/385/CEE relativa ai dispositivi medici impiantabili attivi, la n. 93/42/CEE concernente i dispositivi medici in genere e la n. 98/79/CE relativa ai dispositivi medico-diagnostici in vitro) che hanno garantito un elevato livello di sicurezza e di protezione della salute umana, il buon funzionamento del mercato interno e il raggiungimento del livello di prestazioni indicato dai dispositivi.
In particolar modo, la direttiva 93/42/CEE ha armonizzato le legislazioni nazionali in maniera tale da assicurare standard di sicurezza universalmente elevati per i pazienti, gli utenti e le altre persone interessate quando installano e utilizzano correttamente i dispositivi medici, dare fiducia nel sistema e permettere ai prodotti di essere utilizzati in qualsiasi paese dell’Unione Europea.
Secondo la normativa vigente, i dispositivi medici che rispettano i rigorosi requisiti prescritti, possono essere liberamente commercializzati nello Spazio Economico Europeo una volta ottenuto il marchio CE da un Organismo Notificato dell’UE. Il principio della libera circolazione si applica anche ai dispositivi medici extra–UE che possono avere accesso al mercato unico grazie all’intermediazione di un rappresentante autorizzato stabilito nell’UE.
Al fine di comprovare la conformità dei propri dispositivi ai requisiti essenziali previsti, un fabbricante può applicare norme tecniche esistenti, che riflettono lo stato dell’arte relativamente alle conoscenze in un determinato settore. Le norme tecniche divengono armonizzate nel momento in cui vengono adottate a livello europeo, su mandato della Commissione, dal Comitato Europeo di Normalizzazione (CEN).
Tali norme armonizzate, che di regola traspongono a livello europeo norme internazionali ISO (International Organization for Standardization), assumono particolare importanza nel campo dei dispositivi medici, in quanto le direttive europee prevedono che dall’applicazione di tali norme derivi una presunzione di conformità ai requisiti essenziali previsti per i singoli dispositivi sottoposti a marcatura CE.
Questo quadro regolatorio è stato oggetto di una profonda opera di revisione, sfociata nell’adozione da parte della Commissione di due proposte di regolamento relative rispettivamente ai dispositivi medici e ai dispositivi medico–diagnostici in vitro, i quali dispongono, tra l’altro, requisiti di conformità preventivi all’immissione nel mercato, forme di supervisione successiva e la tracciabilità di tutti i dispositivi attraverso la supply chain.
LE POSSIBILI CONSEGUENZE DELLA BREXIT
Come in altri settori, la prima conseguenza della Brexit è stata quella di aver creato incertezza in merito alla normativa applicabile ai dispositivi medici, sia nel breve che nel lungo periodo.
Si ricorda che, fino a quando l’uscita del Regno Unito dall’UE non sarà ufficiale e cristallizzata (dunque, entro un termine che potrebbe spaziare da 2 a 5 – 10 anni), la legislazione britannica relativa ai dispositivi medici rimarrà allineata a quella europea, con la conseguenza che i prodotti con marchio CE potranno essere liberamente commercializzati in tutta Europa. Ed il British Standard Institutions (BSI), l’Organismo Notificato britannico, ha assicurato che continuerà a garantire ai fabbricanti di dispositivi medici stabiliti nel Regno Unito l’accesso al mercato unico.
Tuttavia, sebbene nel breve periodo ci si aspetti “business as usual”, gli effetti della Brexit dipenderanno dalla natura degli accordi di uscita di cui all’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea, in cui – a prescindere dal risultato delle negoziazioni – sarebbe auspicabile prevedere che il Regno Unito continui ad essere un membro a pieno titolo del CEN.
Al netto del contenuto degli accordi di uscita che disciplineranno la posizione e gli obblighi del Regno Unito nei confronti delle norme UE di futura adozione, problemi potrebbero sorgere già nel momento in cui i due regolamenti di riforma verranno adottati (probabilmente ad inizio 2017, quindi a negoziazioni forse ancora neanche iniziate), e/o a Brexit avvenuta, quando il legislatore britannico potrebbe decidere di rivedere la propria legislazione, che (ricordiamo) ha recepito interamente le tre direttive degli anni ’90.
Nel futuro post–Brexit, risulta anche incerto il ruolo del BSI e dei rappresentanti autorizzati britannici. In merito, il primo si è mostrato fiducioso che il suo ruolo di Organismo Notificato per i dispositivi medici sarà riconosciuto anche dopo la Brexit, mentre Sinead Keogh, Direttrice dell’Associazione Irlandese dei Dispositivi Medici, ha osservato che un rappresentante con sede nel Regno Unito non potrebbe più rappresentare un fabbricante non europeo e, quindi, a seguito della Brexit, dovrà stabilire la propria sede in altro Stato Membro.
Come visto in precedenti contributi, se il Regno Unito seguirà le orme della Norvegia, dell’Islanda e del Liechtenstein, entrando a far parte del SEE, vi sarà un impatto lieve o inesistente sulla regolamentazione britannica concernente i dispositivi medici, con la conseguenza che i prodotti a marchio CE continueranno a circolare liberamente e gli Organismi Notificati e i rappresentati autorizzati potranno continuare ad operare dal Regno Unito.
Di contro, l’UE e il Regno Unito potrebbero propendere per un accordo di mutuo riconoscimento come quelli conclusi dalla prima con Australia (che si applica a tutti i dispositivi, tranne quelli più pericolosi), Nuova Zelanda e Svizzera, al fine di sveltire il processo di riconoscimento e ridurre i tempi e i costi di approvazione dei dispositivi medici.
Un tale tipo di accordo dovrebbe fondarsi sul mutuo riconoscimento da parte delle autorità dell’UE e britanniche, rispettivamente, dei dispositivi medici britannici e di quelli marcati CE. Il reciproco riconoscimento della marcatura d’origine dovrebbe costituire la prova sulla cui base le competenti autorità dovrebbero approvare un dispositivo e, di conseguenza, consentirne la libera circolazione nei rispettivi territori.
Inoltre, in un tale tipo di accordo, potrebbe essere introdotta una previsione che consenta a rappresentanti autorizzati e Organismi Notificati di continuare ad operare mantenendo la propria sede nel Regno Unito.
Una soluzione ancora diversa sarebbe un accordo speciale simile a quello che lega l’UE agli Stati Uniti, che preveda norme che agevolino i fabbricanti di dispositivi medici ad introdurre i propri prodotti sui rispettivi mercati.
Infine, nel caso di un accordo ancor meno stringente basato sulle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’ingresso dei dispositivi medici sui mercati dell’UE e britannico risulterebbe più costoso e dispendioso, anche dal punto di vista regolatorio e burocratico.
In caso di mancato accordo, i produttori di dispositivi medici dovrebbero richiedere una doppia autorizzazione da parte dell’UE e delle autorità britanniche per commercializzare i propri prodotti su entrambi i territori, con conseguente ulteriore aggravio di costi ed oneri rispetto (anche) ad un accordo di derivazione OMC.
LA MANCATA CRESCITA DEL MERCATO BRITANNICO DEI DISPOSITIVI MEDICI A CAUSA DELLE POLITICHE DI SPESA SANITARIA
Le incertezze provocate dalla Brexit rischiano di far regredire ulteriormente un settore, come quello dei dispositivi medici, che già soffre a causa delle politiche di spesa perseguite dal Governo britannico.
Allo stato attuale, le spese sostenute dal Regno Unito nel settore sanitario sono tra le più basse in proporzione al PIL, rispetto alla media europea. Tale circostanza, unita alla lentezza con cui il National Health Service (NHS) ammette i dispositivi medici di nuova generazione al rimborso, crea ritardi significativi nell’approvazione di nuovi dispositivi nel Regno Unito e nella possibilità per gli assistiti britannici di fruirne.
Ciò non solo limita le vendite di nuovi dispositivi ad innovazione elevata, ma incide anche strutturalmente in senso regressivo sul sistema sanitario nazionale in quanto causa nel medio e lungo periodo uno shortage di medici ed operatori specializzati in tecniche chirurgiche e diagnostiche innovative.
Le ragioni di questo deficit possono essere di due ordini. Prima di tutto, sempre più medici britannici emigrano in Paesi in cui possono sfruttare meglio le proprie competenze e ricevere riconoscimenti maggiori, anche da un punto di vista economico. Inoltre, i medici britannici tendono a non specializzarsi più in settori non rimborsati dal NHS, con la conseguenza che soltando quando viene accordato il rimborso per un nuovo dispositivo, si registra un movimento di specialisti in quella direzione, così rendendo sempre più strutturale il gap temporale di know-how e di saperi.
Dunque, fin quando il NHS non rivedrà il sistema dei rimborsi e ne faciliterà il rilascio per i nuovi dispositivi, rendendone così possibile un’adozione più veloce, l’emigrazione di nuovi specializzandi probabilmente continuerà ad aumentare. La nuova, lunga stagione della Brexit che si profila all’orizzonte non potrà che aggravare questo scenario.
Pietro Michea